Forse è puerile, forse no, ma in queste parole ci vedo moooltissimo di me negli ultimi tempi. Non siete obbligati a leggere tutto, ma se volete capire un pochino di più chi sono io oggi, leggete questo brano, tratto da una mia lettura di qualche giorno fa.
Mi stavo conoscendo. In realtà, sapevo ancora poco di me. Quando dicevo "io" in quel periodo, facevo fatica a capire quale "io" stavo pensando. Mi sarei potuto appendere al collo il cartello "Lavori in corso". Se mi avessero chiesto: "Parlami di te", avrei fatto scena muta.
Pian pianino, però continuavo il mio percorso. La mia ricostruzione. A volte partendo anche dalle piccole cose. Anche da quelle che non avevano grande importanza. Cose pratiche. Cose che davo per scontate. Ad esempio, da piccolo non mi era mai piaciuto il gelato al pistacchio. Mi piacevano crema, bacio, nocciola, fragola, limone, stracciatella, persino puffo, ma pistacchio niente. Lo detestavo. Adesso, invece, il gelato al pistacchio mi piace un casino. Lo prendo quasi sempre.
Ero cambiato. Per anni mi ero riconosciuto in quello che odiava il pistacchio, tanto che se qualcuno chiedeva di me, per essere sicuro di aver capito bene chi fossi, domandava: "Chi? Quello che odia il gelato al pistacchio?". Poi, da grande, un giorno casualmente ho scoperto che mi piaceva. E così è successo per la birra, il vino, l'insalata e la bresaula.
Una sera ero a cena da un amico e sua madre mi ha messo nel piatto della bresaula. Io non avevo il coraggio di dirle che non mi piaceva e così l'ho mangiata. Assaggiandola per la prima volta ho scoperto che era buona. E sinceramente questo un po mi ha turbato. Come il pistacchio, stavo perdendo una certezza. Cacchio, non potevo più essere quello che odia il pistacchio. Attraverso il pistacchio un po mi conoscevo. Ma adesso. Adesso che avevo scoperto che mi piaceva, come togliermi dalla massa, come potevo essere riconoscibile? In che cosa mi identificavo? Come avrei sostituito il tassello che avevo perso?
Non mi è mai piaciuto tanto cambiare. Credo sempre per via di quel trasloco. "Chi lascia la strada vecchia per la nuova, s sa quello che lascia ma non quello che trova" dice il saggio. E anche un po io.
Infatti avevo lo stesso atteggiamento anche con i miei difetti. Li chiamavo così, ma non facevo niente per perderli, per cambiare. Ecco nuovamente il problema dello staccarsi. Io mi riconoscevo nei miei difetti. Erano comunque come pezzi di un puzzle che componevano la mia persona. Mi ci ero pure affezionato. Anzi a dirla tutta, mi ci ero proprio innamorato.
Forse anche perchè i difetti spesso erano le mie difese.
"Io sono fatto cos', non posso farci niente".
Quante volte le ho dette quelle parole. Tradotte erano: "Se ti vado bene così, ok. Altrimenti arrivederci".
L'interesse per l'altra persona era decisamente basso. Nessuna possibilità di una trattativa, di venirsi incontro.
Si, ero quello che rompeva le scatole, però ero io, e alla fine mi piacevo così. Chi sarei diventato senza i miei difetti. Magari uno qualunque. Invece io ero il rompipalle. Sempre meglio che niente. Sempre meglio che indifferente. Senza tralasciare il fatto che a me rompere le palle a volte piaceva proprio. Essere un po fastidioso, capriccioso come un bambino. Infatti, capitava che, parlando dei miei difetti ad altre persone, mi comparisse in volto un'aria di compiacimento.
"Io sono un rompipalle, me lo dicono tutti".
"Sono testardo lo so".
"A volte sono insopportabile".
"Lo so, non ho un carattere facile".
Tutte frasi che pronunciavo con quell'aria un po compiaciuta. Quasi con orgoglio.
Il mio nuovo progetto di conoscermi, queste mie scoperte su pistacchio, la bresaula ecc. mi hanno portato a chiedermi: quante cose non conosco di me? Quante informazioni sbagliate, convinzioni errate, cambiamenti sconosciuti?
Voglio dire: se ho scoperto che mi piace la bresaula, chissà magari quante cose importanti non so di me.
Ad esempio, un'altra cosa che non mi era mai piaciuta era la pasta di marzapane. Quella che si trova a Natale e a Carnevale. Ce n'è in tutte le forme, anche a panino con il salame, a castagna, a mela, a pera ecc. Il marzapane mi ha sempre fatto schifo. Per conoscermi, allora ho deciso di andare in un negozio che lo vende tutto l'anno e mi sono comprato una pastina di marzapane a forma di banana. L'ho mangiata e ho scoperto una cosa sensazionale. Il marzapane mi faceva schifo! L'ho sputato nel sacchettino. Puah! Ci sono cose nella vita che non cambiano mai.
Quando scoprivo nuove cose di me, mi veniva da pensare che avrei dovuto avvertire tutti i miei amici. Avvisarli di questo mio cambiamento.
"Ciao, come va? Senti, ti volevo dire che mi piace la bresaula...Cosa? No, non ho fumato".
Magari non proprio in questo modo, ma avevo la sensazione che avrei dovuto aggiornare l'idea che i miei amici avevano di me.
Come quella volta che Valerio mi aveva detto che era diventato vegetariano. "Vegetariano? Ma sei matto... Perchè?"
Bè... Non mi va più di mangiare i cadaveri."
"Vabbè, ci credo, prova a non chiamarli cadaveri, chiamali salame, pancetta, filetto... cazzo, cadaveri fa schifo."
"Di fatto lo sono, poi la carne rende aggressivi. E poi pensa alla sofferenza degli animali. Come fai a non capire? Dovresti diventarlo anche tu un..."
Se la carne rende aggressivi, ringraziamo dio che Hitler era vegetariano, e poi per il discorso della sofferenza io gia non mangio i funghi".
"Che cazzo c'entrano i funghi?"
"Bè, per non sfrattare i puffi!"
"Mavvanculo te e i puffi!"
"Certo... vorrei vedere te se sapessi che la tua casa è in un risotto. Come fai a non capire?"
Erano passati parecchi mesi dal giorno in cui ero andato a ritirare le analisi da Giovanni e quel mio nuovo progetto di vita mi occupava molto tempo. La ricerca della felicità.
Conoscermi, capirmi, ascoltarmi. Mi ero praticamente isolato dal mondo. Ma tutto questo non aveva portato a grandi successi. Non è che potessi dire di essere felice o sereno. Anzi, spesso ero più ansioso e agitato di prima. Ero sempre più confuso. Avevo imparato una cosa importante ed era che continuavo ad avere le mie paure, ma non avevo più paura di aver paura. Perchè era quello che mi aveva sempre bloccato, la paura di avere paura. Molte volte le paure erano anche segno di prudenza. Erano quasi saggezza. Mi costringevano a stare attento.
Volevo capire se potevo stare bene. Se potevo liberarmi dalle mie ansie. Volevo sapere dove sarei finito se avessi continuato quel percorso. Volevo capire se era possibile costruire un'alternativa a quella realtà che ormai da troppo tempo non mi faceva essere felice.
Tanto cosa avevo da perdere?
Più passava il tempo, più cose imparavo di me. Ma soprattutto imparavo a volermi bene.
Mi stavo affezionando a me stesso. E questo nuovo sentimento nei miei confronti mi spingeva anche a fare cose stupidissime. Proprio come quando si va in giro a fare le bischerate con gli amici. Stavo vivendo una nuova adolescenza. Sarei andato tranquillamente con me stesso a suonare i campanelli e poi sarei scappato. Perchè era quello il nuovo sentimento: voglia di scherzare e giocare con me.
Una sera mi sono messo davanti allo specchio e mi sono fissato per un po. Poi, usando tutti i muscoli del viso, ho fatto una serie di smorfie e di espressioni. Facce strane: buono, cattivo, triste, felice. Poi mi sono guardato dritto negli occhi. E a un certo punto mi sono detto: "Ti voglio bene".
Cazzo... sono scoppiato a ridere come un deficiente. E infatti mi sono ridetto subito: "Mavaffanculo!".
Poi ci ho riporvato e sono arrivato a a dirmi che mi amavo. "TI AMO, CAZZO! TI AMO, TI AMO, TI A-MO! E A TE DA ADESSO IN POI CI PENSO IO, NON TI PREOCCUPARE!"
Nel pronunciare ad alta voce queste parole, mi è venuto da ridere, perchè la cosa strana è che per un attimo ho provato un po di imbarazzo. Come se fossi a un primo appuntamento con qualcuno. Mi guardavo e poi abbassavo un po lo sguardo, imbarazzato, vergognoso. Eppure ero io.
Che emozione aver vergogna di se stessi. Che stranezza.
Alla fine, però, mi ero simpatico. Mi ero simpatico perchè io, quello li nello specchio, lo sapevo cosa aveva passato nella vita. Sofferenze, dolori, pianti, silenzi, gioie, risate. E anche se non era perfetto, non potevo che volergli bene, tutto sommato.
"Cosa hai dovuto sopportare a volte..."
Chiaramente non ho detto niente a nessuno, perchè mi avrebbero dato dell'egoista, del narciso e dell'egocentrico. Non ultimo, del pazzo.
Forse avrebbero avuto anche ragione, ma io mi stavo divertendo. Molto più che a uscire a cena con gli amici. La mia compagnia mi piaceva. Il viaggio alla scoperta di me stesso era diventato un gioco divertente. incontrarmi per la prima volta. Mi ascoltavo e mi parlavo. Più giocavo dentro di me, più avevo l'impressione che quel gioco fosse infinito. Mi sentivo infinito. Un pozzo senza fondo. Un universo.
Questo amico ritrovato non mi faceva mai sentire solo. Anzi, mi faceva sentire parte di qualcosa di più grande. La solitudine aveva preso un significato diverso. Non mi spaventava più. E il non temere la solitudine aveva dato una svolta decisiva alla mia vita. Una svolta che mi piaceva. Era come se il fuoco di quella nuova speranza avesse acceso un'enorme candela nella cui fiamma rivedevo la mia vita. Ho avuto persino paura di essere a un passo dalla paranoia. Nel vero senso della parola. Invece è stato proprio in quel periodo che è accaduto il miracolo. Infatti, per la prima volta, stavo rendendomi conto della distanza che gli altri avevano creato tra me stesso e il mio vero me. Chiaramente con la mia complicità. Ed era in quella distanza, in quel territorio che nascevano le mie ansie.
In quei giorni mi sono incontrato. Sentivo come una voce dentro che mi parlava. Mi parlava quando io stavo zitto. In silenzio. Che emozione ho provato quando ho sentito per la prima volta quella connessione. Alla fine ho pianto. Era tanto che non lo facevo. Anche se mi impegnavo e mi sforzavo, non ci riuscivo. Le lacrime non conoscevano da troppo tempo la forma del mio viso, la luce del difuori. Silenziose per natura, arrivate agli occhi cadevano all'indietro giù fino in fondo al cuore che sempre più faticava a galleggiare. mi ero ricongiunto alla mia gioia, finalmente.
Quella scoperta, quel miracolo aveva cambiato totalmente la mia dimensione. Dall'incontro con me stesso per la prima volta avevo capito da dove venivano le domande che mi assalivano di notte, le ansie, le paure.
Io, l'io vero era come chiuso in un sarcofago. Ecco perchè mi veniva da soffocare. Ecco perchè avrei voluto strapparmi la pelle di dosso. Perchè ero legato, ingabbiato dentro di me. Come in quei film in cui nella testa del robot c'è un omino che lo guida.
Quella voce dentro di me, che ero io, voleva essere ascoltata e voleva che i suoi desideri e bisogni fossero soddisfatti. Voleva essere amata. Amata da me. Voleva semplicemente vivere.
Non stavo semplicemente vivendo la mia vita. Che era poi il motivo per cui ero nato, per cui c'ero anch'io su questo pianeta.
L'idea errata che avevo di me, invece, mi spingeva automaticamente a rispondere a desideri e a necessità che in realtà non erano miei. E quindi dentro sentivo le lamentele di un affamato. Ero arrivato al punto di esprimere chi ero con cio che consumavo e compravo. Le mie scarpe, la mia macchina, le mie vacanze, i locali che frequentavo, il telefonino che sceglievo, l'arredamento di casa. Tutto diventava me. Tutto mi determinava. Tutto mi qualificava. Quelle cose dicevano chi ero.
Inseguivo quello che credevo di volere. e non quello di cui avevo veramente bisogno. Così, mi sono trovato ad avere quasi tutto tranne ciò che mi serviva per stare bene.
Avevo bisogno più di accarezzarmi che di masturbarmi. E così ho fatto.
Per anni avevo vissuto seguendo quello che non ero. Così mi sono trovato sommerso da una stratificazione di falsità. Di dati errati. Ma con quella dichiarazione d'amore avevo imparato che non potevo più fare a meno di me stesso se volevo veramente incontrare gli altri. Incontrare la vita. Avevo capito che rinunciare a se stessi, non amarsi è come sbagliare a chiudere il primo bottone della camicia. Tutti gli altri poi sono sbagliati di conseguenza. Amarsi è l'unica certezza per riuscire ad amare davvero gli altri.
E io non volevo stare solo.
Quella nuova dimensione, quel nuovo punto di vista, quella scoperta di una persona diversa dentro di me mi ha fatto cambiare l'idea su tutti. Perchè se l'avevo trovata in me, se c'era, allora c'era anche negli altri.
Se però davanti allo specchio mi ero detto: "Io quello li, lo so cosa ha passato", non potevo ancora dirlo degli altri. Ma se fossi andato nel profondo anche con loro, avrei trovato degli esseri umani. Perchè tutti avevano quella persona dentro. E tutti, chi più chi meno, la tenevano in gabbia. Ho iniziato a parlare con la gente rivolgendomi più che altro alla persona che portavano dentro. Un trip pazzesco. Il gioco si faceva sempre più affascinante, più coinvolgente. Meglio delle droghe. E, anche se stavo impazzendo, mi stavo divertendo un casino.
Ma come potevo incontrare qualcuno e conoscerlo davvero se non sapevo neppure chi ero io? Come potevo donarmi a un'altra persona se non sapevo nulla di me? Sarebbe stato come regalare un libro che non avevo letto. Che senso ha?
Per anni avevo tenuto un piede su ciò che ero e uno su ciò che pensavo di essere. Era stato come posarne uno su una barca e uno sul pontile. Visto che la barca era ormai in partenza, se non volevo finire in acqua dovevo decidere se rimanere sul pontile o salpare e scoprire la verità. Ma ormai non ero più libero di scegliere.
Potevo solo continuare.
2 Commenti:
è meraviglioso questo brano.
Posso sapere da dove è stato selezionato?
Grazie.
Capitolo 11 se non vado errato di E' una vita che ti aspetto, Fabio Volo.
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